Ludovico Bomben non gioca più. Preferisce progettare e costruire dispositivi esplosivi; costruzioni apparentemente ordinate, pulite e geometriche, ma finalizzate invece a detonare all’improvviso per renderci, anche per pochi attimi, soli con noi stessi, disorientati e privi di punti di riferimento.

Non cerca carneficine bensì stragi di certezze, arroganze, presunzioni, perché, come lui ripete, il suo fine è “portare via” l’osservatore da qualche parte; a volte solo per pochi istanti, ma comunque per una frazione sufficiente a distoglierlo dalla banalità e farlo così riappropriare della consapevolezza che stiamo vivendo e inesorabilmente anche un po’ morendo.

L’alfabeto delle sue opere si compone di materiali della quotidianità ripensati in nuove composizioni, a volte più grandi della nostra altezza. Non una grandezza di presunzione, bensì la necessaria misura per far percepire quell’invisibile che lui vuole maneggiare. Le sue sono solide strutture in grado di mostrare qualcos’altro; ombre, visioni, cose invisibili che noi possiamo cogliere nelle nostre reazioni e nella nostra così, apparentemente, sicura esistenza.

Le sue opere non ammiccano, né vogliono sedurre; sembrano solo tentativi schietti per provare a domare il nostro cinico mondo. A Ludovico voglio bene perchè mi insegna a non dimenticarmi.